Un gatto di circa 2 anni, maschio intero, viene portato in visita in quanto ultimamente sembra dimagrito ed meno vivace del solito. E’ stato visitato da colleghi circa dieci giorni prima e, in seguito a diagnosi di tracheobronchite, è stato sottoposto a trattamento antibiotico con cefalosporine e antiflogistico steroideo. Alla visita medica si sospetta ascite e viene disposta una radiografia che conferma il sospetto clinico. Dati i precedenti anamnestici, si cerca di comprendere nel radiogramma anche una porzione di torace. Approfittando dello stato di depressione del paziente, senza sedazione, si effettua una centesi addominale ottenendo un liquido sieroso opalescente. Il primo sospetto è verso una forma di peritonite infettiva felina (FIP) ma le caratteristiche macroscopiche del versamento non convincono e, prima di approntare il protocollo di ricerca del coronavirus, si effettua un esame citologico dal sedimento di centrifuga. Il risultato è un tappeto di granulociti neutrofili e batteri, sia cocchi che bastoncelli, sia intra che extracellulari: si tratta di una peritonite settica. Nel frattempo l’esame emocromocitometrico rivela un rialzo, anche se non drammatico, dei granulociti neutrofili. E’ abbastanza per richiedere una laparotomia d’urgenza.